MONSIER SATIE Capolavori di Ilaria Baldaccini – CD

Erik Satie (1866 – 1925)

  1. Gnossienne n. 1

  2. Gnossienne n. 2

  3. Gnossienne n. 3

  4. Gnossienne n. 4

  5. Gnossienne n. 5

  6. Gnossienne n. 6

  7. ‘Je te voux’, valse

  8. Gymnopedie n. 1

  9. Gymnopedie n. 2

  10. Gymnopedie n. 3

Ilaria Baldaccini pianoforte


Registrato su Yamaha C3 nei mesi di Febbraio – Marzo 2017 Disegno del Suono, Montaggio e Masterizzazione Giuseppe Scali. Impaginazione Grafica EMA Vinci Service (Fi)

@ 2017 EMA Vinci records 70106


Quando qualcuno domandava a Rossini chi era il musicista più grande, lui rispondeva ‘Beethoven’. Quando gli si obiettava: ‘E Mozart?’, lui rispondeva: ‘Voi mi avete domandato chi era il più grande. Non mi avete domandato chi era unico’. Se qualcuno mi interrogasse sulla nostra epoca io risponderei senza esitazione che i più grandi sono Debussy e Stravinsky. E aggiungerei subito: ‘Ma Satie è unico’.

Jean Cocteau

Nel silenzio di Satie

di Carmelo Mezzasalma

Il “caso” di Erik Satie (1866-1925), nella storia musicale del primo Novecento, sembrerebbe, a prima vista, un caso anomalo e quasi enigmatico. A cominciare dal suo modo di vivere e di “pensare” la musica, quasi al limite di uno sprezzante rifiuto di ogni convenzionalismo e di un tenace autodilettantismo che lo porterà a rifiutare qualsiasi studio sistematico e metodico della musica, ivi compresa la composizione, con maestri riconosciuti e di sicura capacità formativa. Una personalità scomoda, a tratti fastidiosa e forse distruttiva, ma indubbiamente sensibilissima e dotata della capacità di arricchirsi di ogni esperienza in campo letterario, musicale e perfino religioso. In ogni caso Satie non è un improvvisatore o un avventuriero della musica. La sua formazione letteraria era esclusiva e sincera (Andersen, Flaubert), come anche il suo appassionato studio sulle partiture di Bach, Schumann, Chopin, mentre il suo talento sarà riconosciuto da Ravel e Debussy al punto che, per sua stessa ammissione, influenzerà molto il linguaggio musicale di Pelléas et Mélisande.

 

Satie amava molto il pianoforte, sebbene non fosse un buon pianista, e non sorprende che la sua produzione di composizioni pianistiche sia piuttosto vasta e articolata in diversi periodi rispondenti all’ispirazione del momento. In questa produzione spiccano, tuttavia, Les trois Gymnopédies, Les trois Gnossiennes, per il loro alone misterioso e trasparente, ma anche l’altrettanto celebre Valse, dalla scrittura elegante e dolcemente popolare. Non va neppure dimenticato, a proposito delle prime due, che Satie si era dedicato, tra l’altro, a un studio assiduo del canto gregoriano. Di fatto, per il ritorno ostinato di melismi identici e per le curiose annotazioni enigmatiche di ritmo, dirette all’esecutore, queste partiture chiamano fortemente in causa l’intuizione, la sensibilità e l’intelligenza creativa dell’interprete. Credo, dunque, che Ilaria Baldaccini, nell’affrontare la musica pianistica di Satie, mostri davvero un’esperienza musicale consapevole di queste partiture con uno stile di esecuzione, anche originale e molto partecipe, tutto sospeso com’è tra ritmo, sonorità e una cantabilità sognante ed evocativa. È indubbio, in effetti, che soprattutto nelle Gymnopédies e nelle Gnossiennes, il silenzio giochi un ruolo essenziale, silenzio intorno alla musica e allo stesso tempo evocazione del silenzio fin dentro la “modalità” della leggerezza melodica. Un viaggio interiore di Satie, questo del silenzio, nel mistero inesauribile del pianoforte.


Un giaccone di velluto che tiene caldo e occhialini per veder lontano

di Renzo Cresti

Portava un giaccone di velluto, occhialini sopra occhi piccoli e vivi, una barba ben tenuta, e regolarmente, alle quattro del pomeriggio, andava a bere un Pernod au comptoir (in piedi) al bar all’angolo della sua povera casa parigina detta Les quattre cheminées. Come riuscisse a campare rimane un mistero, in quanto guadagnava solo da poche lezioni occasionali, eppure la sua personalità era ammirata da tutti gli artisti, gli impressionisti, i simbolisti, i dadaisti, i surrealisti, gli aderenti al nuovo classicismo e al concettualismo, tendenze diverse fra loro e sviluppatesi in vari momenti, ma tutte, in qualche modo, attratte dall’originale figura di Satie. La sua musica fu di esempio all’inizio del cosiddetto Gruppo dei Sei e i compositori della École d’Arcueil ne fecero un nume tutelare. Malgrado queste attestazioni di stima Satie rimase un ‘caso’, come disse Alfred Cortot nel 1938, e continua a rimanere un caso tutt’oggi, a dispetto delle molte esaltazioni che ne hanno fatto i maestri del Novecento, da Stravinskij a Cage, fino alla New Age e all’Ambient music.

 

Il percorso artistico di questo autore dall’idea di musica personalissima è assai variegato, nelle motivazioni, nelle finalità, nei generi e negli organici. In questo compact-disc ascoltiamo tre tipi di composizioni pianistiche che sono esemplificativi del suo modo di intendere la musica e di comporla: le Gymnopédies. Satie aveva iniziato a scrivere i suoi primi pezzi pianistici nel 1885, le Gymnopédies sono di tre anni successive; il nome si rifà all’antica festività della città di Sparta Γυμνοπαιδίαι, durante la quale aveva luogo la gimnopedia, la danza processionale di efebi, seguita da canti ed esercizi ginnici. Si tratta di tre brani autonomi inseriti in un’unica raccolta e impostati su una concezione del tempo sospesa, realizzata attraverso un’ambiguità armonica e una melodia sottile e aerea che la giovane pianista Ilaria Baldaccini realizza con la dovuta leggerezza (l’equivocità dell’armonia va resa con il senso dell’enigma; le prime battute della Gymnopédie n. 1, ad esempio, sono costruite su una progressione di due accordi di settima e questo deve dare un senso di enigmaticità; i procedimenti tecnici sono sempre ben relazionati dalla Baldaccini all’espressività).

Le Gnossiennes che ascoltiamo sono di una soavità straordinaria, eseguite con attenzione profonda verso il suono che la Baldaccini sa delicatamente porgere; furono composte fra il 1889 e il 1897; il titolo deriva da ‘gnosi’, ossia da un tipo di conoscenza sapienziale, una risposta che Satie voleva dare ai formalisti; anch’esse non si basano su un tempo vettoriale ma su una concezione del tempo interiore, il tempo della memoria, dei sogni e delle fantasie, un tempo diverso da quello dell’orologio, come insegna Bergson, un tempo librato come quello della preghiera. Già l’inizio è di una bellezza sonora sconvolgente; per eseguire questi brani occorre avere una sensibilità al suono non comune, pianisticamente un tocco che sappia animare le semplici frasi, far vibrare gli accordi, render vivi i colori pastello e le dinamiche sottili; bisogna essere bravi a far giungere all’ascolto questa apparente semplicità, in realtà una musica che richiede di essere assimilata quante altre mai, che non rivendica capacità virtuosistiche ma penetrazione della sfericità del suono, grazia nel tocco e partecipazione spirituale, proprio quello che comunica l’interpretazione della Baldaccini.

L’esilità della scrittura e la semplicità strutturale si riscontrano anche in Je te veux (1902). Si tratta di un walzer, sulla musica del quale Henry Pacory scrisse le parole, opportunamente inserito nel contesto fra i pezzi meditativi (anche il montaggio dei pezzi è stato ben studiato).

Quelle di Satie sono caratteristiche che ai formalisti di ogni tempo non convincono e che, invece, rappresentano lo spostamento dell’interesse dalla complessa tecnica del comporre note alla capacità spirituale di chiamare a sé i suoni; per questo il tempo si spazializza per diventare spazio interiore accogliente. La libertà formale, l’emancipazione della dissonanza, il sistema tonale de-funzionalizzato, la mancata indicazione di tempo e l’andamento libero, le dinamiche sottili, i colori morbidi, tutto questo non è basato su una concezione sperimentale di nuove tecniche, ma funzionale ad esprimere un flusso di coscienza. L’esecuzione più lenta rispetto a come questi brani si sentono di solito esalta la sospensione temporale, conferendo loro un andamento rituale; il trattamento del basso come un ostinato contribuisce al carattere quasi ipnotico, accentuato dalla regolarità del tempo; bene ha fatto la Baldaccini a ricordarsi che Gnossienne e Gymnopedie sono danze processionali; apprezzabile anche il fatto che si sia cercato di uniformare il tempo tra le opere. Ottimo il fraseggio e la sensibilità al suono; senza queste doti i brani in programma non si affrontano con la dovuta profondità; la Baldaccini coglie il senso intimista e, al contempo, universale, del suono di questi brani, con un garbo tutto femminile e un tocco di languore.



Reference

Le Gnossiennes sono eseguite lentissime, con pochissimi cambiamenti di colore, quasi una sorta di lago ghiacciato che ci porta, ci trascina dentro di sé’ 


Arturo Stalteri, RAI RADIO 3Primo Movimento, 1 febbraio 2018

‘Un bel disco di una pianista molto interessante, di grande talento, di grande entusiasmo, di grande bravura. Satie si può fare in tanti modi. Ilaria Baldaccini ha saputo interpretare le Gnossiennes e le Gymnopedies con grande rispetto per quello che era la linea, lo stile, il pensiero, la poetica di Satie, molto anomala, molto irrispettosa, ma allo stesso tempo di grandissima eleganza e delicatezza. È molto bella questa visione che ne dà Ilaria Baldaccini, ritmicamente un po’ sospirata, giocata sull’attesa, con questo effetto, tra virgolette, di silenzio – non silenzio, che è molto specifico della scrittura di Satie. Una lettura molto matura e sensibile, azzeccata sotto il profilo della ricerca timbrica e spirituale di queste composizioni.’ Satie aveva intuito la potenza del suono estatico, il giocare sull’ambiguità del suono. Una enigmaticità che Ilaria Baldaccini sottolinea molto bene nel suo modo di esprimersi e di esprimere questi suoni, perché regala colori tersi ma sottili, ambigui, complessi nella loro articolata semplicità.’
Anna Menichetti per Radio Svizzera Italiana, 26 aprile 2018


‘Questa incisione della Baldaccini su Gnossienne e Gymnopedie rifugge il rischio modaiolo di un Satie “facile”, prova a scavare nel compositore francese attraverso un’analisi interiore, ne esalta e dilata i silenzi come spazi depurativi, gli intimismi come problematiche esistenziali, la purezza del suono ripulito da tentazioni virtuosistiche come spazio pensante.’
Paolo CarradoriAlfadisco, 6 luglio 2018


‘Tanti piccoli monili, ma in tutti – tranne che nel grazioso valzer, frutto di frivolezza Belle Époque – si rifrange un prototipo unico con impercettibili sfumature. Stessa sonorità. Stesso passo placido e ondulatorio. Stesso sortilegio atmosferico che ha la consistenza di un miraggio.’
Gregorio MoppiLa Repubblica, 30 luglio 2018

A Velour Jacket for warmth and Eyeglasses to see far

by Renzo Cresti

He wore a velour jacket, little glasses over small, lively eyes, and a well-tended beard. Regularly, at four in the afternoon, he went to drink a Pernod au comptoir (at the counter) at the corner bar near his modest Parisian house, Les quattre cheminées. How he managed financially remains a mystery, since he made money only from a few occasional lessons. Still, his personality was admired by all the artists – Impressionists, Symbolists, Dadaists, Surrealists, adherents to the new Classicism and to Conceptualism – all reflecting the diverse tendencies that developed over time, but all, in some way, attracted by Satie’s originality. His music was an example to the so-called Group of Six at the time of their inception, and the composers of the Arcueil School referred to him as their guiding light. Despite these admiring attentions, Satie remained a “phenomenon”, as Alfred Cortot said in 1938, and he continues to remain a phenomenon even today, despite the many praises made by the masters of the Novecento, from Stravinskij to Cage, up to New Age and Mood Music.

The artistic path of this author of the idea of extremely personal music is quite varied, in terms of motivations, aims, genres, and musical elements. In this compact-disc we listen to three types of piano compositions, the Gymnopédies, which exemplify his way of understanding and composing music. Satie began writing his first piano pieces in 1885. The Gymnopédies are from the three subsequent years. The name refers to the ancient festival of the city of Sparta, the gymnopaidía, during which the processional dances of ephebe (adolescent boys) took place, followed by songs and gymnastic exercises. These three autonomous pieces are inserted into a single collection and built upon a conception of suspended time, achieved through a harmonic ambiguity and a subtle, airy melody that the young pianist Ilaria Baldaccini performs with the required lightness. The equivocal harmony is presented with the sense of an enigma. The opening notes of Gymnopédie n.1, for example, are constructed on a progression of two seventh chords, to give a sense of enigma. Baldaccini’s technical progressions are always well balanced by her expressivity.

Satie’s Gnossiennes, composed between 1889 and 1897, are extraordinarily smooth, and performed by Baldaccini with profound attention towards the sound that she knows how to present with such delicacy. The title, deriving from gnosi, refers to a type of wise awareness, and is Satie’s response to the formalists. These pieces are not based on a vectored time, but rather on a conception of interior time, the time of memory, dreams, and fantasies, a time different from that of the clock, as Bergson teaches, an over-reaching time like the time of prayer. Already at the beginning the sound is movingly beautiful. To play these pieces one must have an uncommon sensitivity to the sound, on the piano, using a touch that can animate the simple phrases, make the chords vibrate, give life to the pastels and subtle dynamics. One must be very talented in order to bring this apparent simplicity to the ear. In reality, this music must be assimilated more than any other kind of music. It doesn’t call for the capabilities of a virtuoso, but for penetration into the roundness of the sound, grace in the touch, and spiritual participation. This is exactly what Baldaccini’s interpretation communicates.

The slenderness and structural simplicity of the writing is also found in Je te voux (1902), for which Henry Pacory wrote the words. This waltz piece is opportunely inserted among the meditative pieces (even the assembly of the pieces is well thought out).

Satie’s characteristics don’t convince the formalists of any time period. Instead, they represent a displacement of interest from the technical complexity of composition to the spiritual capacity of calling the sounds to oneself. For this, time is spatialized, becoming a welcoming interior space. The formal freedom, emancipation from dissonance, de-functionalizing tonal system, lack of temporal indications, free flow, subtle dynamics, and soft colors, are not based on an experimental conception of new techniques; instead they serve to express a flow of consciousness. The slower execution compared to how these pieces usually sound exalts the temporal suspension, giving them a ritual flow. The treatment of the bass as an insistence contributes to an almost hypnotic character, accentuated by the temporal regularity. Baldaccini has done well to recall that Gnossienne and Gymnopedie are processional dances; also admirable is the fact that she has tried to create a uniform time for these pieces. The phraseology and aural sensitivity is optimum. Without these gifts the pieces would not be played with the necessary profundity. Baldaccini creates the sense of intimacy while at the same time preserving the universality of these pieces, with an entirely feminine grace and a languorous touch.


In the Silence of Satie

by Carmelo Mezzasalma

The “phenomenon” of Erik Satie (1866-1925) in the musical history of the early 1900s seems at first glance to be anomalous and almost enigmatic, beginning with his way of seeing and “thinking” the music, almost to the point of a haughty refusal of conventionality and a tenacious self-referential dilettantism that leads him to refuse any systematic and methodical study of music, including composition, with recognized masters of definite teaching capability. An uncomfortable personality, sometimes fussy and perhaps destructive, but undoubtedly very sensitive and gifted, able to enrich himself with all his experiences in the literary, musical and even religious fields. In any case, Satie is not an improviser or musical adventurer. His literary training was exclusive and sincere (Andersen, Flaubert), as was his passionate study of the works of Bach, Schumann, and Chopin. His talent was so touched by Ravel and Debussy that, by his own admission, these greatly influenced the musical language of Pelléas et Mélisande.

Satie truly loved the piano, even though he wasn’t a very good pianist. It’s not surprising that his production of piano compositions is rather vast and spread over various periods, responding to the inspiration of the moment. Of this production, though, Les trois Gymnopédies and Les trois Gnossiennes stand out for their mysterious and transparent aura, along with the equally celebrated Valse, of elegant and sweetly popular composition. Regarding the first two, we should not forget that Satie dedicated himself, among other things, to an assiduous study of Gregorian chant. In fact, with the obstinate refrain of identical smoothness and the curious, enigmatic rhythmic annotations directed to the performer, these scores strongly call into play the intuition, sensitivity and creative intelligence of the interpreter. I believe, therefore, that in confronting Satie’s piano music, Ilaria Baldaccini truly shows her knowledgeable musical experience of these scores, with a style of performance that is original and highly engaging, entirely suspended as it is between rhythm, sonority, and dreamy and evocative lyricism. Undoubtedly, especially in the Gymnopédies and the Gnossiennes, silence plays an essential role. The silence surrounds the music and at the same time is evoked through melodic delicacy. This silence is Satie’s interior voyage into the inexorable mystery of the piano.