INSIEME – Alessandro Solbiati – CD

Alessandro Solbiati

[1-4] SINFONIA DA CAMERA per 15 strumenti (2006)
I Lacerato, attonito II Andante ostinato III Con energia IV Presto anelando

[5] INSIEME
per 10 strumenti (2017)

[6] CONCERTO
per chitarra e 15 strumenti (1990 – 2016)
chitarra solista Luigi Attademo

[7] NEVE
per 16 strumenti (2011 – 2016)

Ukho Ensemble Kyiv
direttore Luigi Gaggero


Registrato nello studio della National Radio Ucraina dal tecnico
Andrii Mokrytsky
L’organizzazione ed il coordinamento della produzione sono curate da Oleksandra Andrusyk.

LA CLASSICITÀ DI ALESSANDRO SOLBIATI
di Guido Salvetti

Le quattro composizioni che vanno a creare questo CD testimoniano quanto sia radicato nel loro autore l’interesse per gruppi che siano cameristici, sì, ma ampi al punto da sfiorare l’impianto sinfonico a cui pure Solbiati ha dedicato, al 2010, tre ampi lavori (“sinfonie”); senza contare il ruolo drammaturgico primario che svolge l’orchestra nelle sue tre opere teatrali. Non deve meravigliare quindi che si ritrovi- no qui alcune scelte personali di grande nettezza: a cominciare da un divisionismo minuzioso ed estremo, collocato all’interno di strutture formali solide e, come tali, di chiara percettività.

Questo divisionismo, almeno una volta, in Neve (2016), viene “spiegato” con l’im- magine dei fiocchi di neve che scendono, evocati in uno dei brani nati per un’ or- chestra di giovani musicisti: Neve è la versione per sedici strumenti (composta per l’Ukho Ensemble) del quinto degli otto brevi brani sinfonici destinati alla raccolta Crescendo (2011-2013) per i “Piccoli Pomeriggi Musicali”. Il cedimento al figuralismo assume quindi, ma occasionalmente, un intento didattico-divulgativo. O forse meglio, è una scelta di semplicità che “spiega” anche, in fase conclusiva, l’inserimento dell’inno natalizio Puer natus in Bethlehem. È un caso isolato. In tanti altri casi questa scelta di una pulviscolare iridescenza, che ha il suo habi- tat naturale nell’assommarsi di celesta, xilofono e arpa, è uno dei due termini di una dialettica che si contrappone al terrigno e materico addensarsi degli ottoni, o anche all’innaturale abbinarsi in tremende scosse elettriche di clarinetto basso e violoncello. Le logiche costruttive dei brani più ampi e complessi hanno la loro base più solida in questa contrapposizione duale. È una sorta di grande “respira- zione” che si avverte soprattutto nelle prime sezioni di Insieme, della Sinfonia e del Concerto. Non è un’oscillazione tra l’uno e l’altro estremo: la forma, piuttosto, si costruisce secondo una direzione costante, per la quale diventa spendibile la metafora del cammino.

Il Concerto per chitarra e 15 strumenti, nella sua storia trentennale (prima versione per orchestra sinfonica nel 1989-90, versione per orchestra da camera nel 2000, riscrittura della parte di chitarra nel 2014 in collaborazione con Luigi Attademo, dedicatario odierno; nuova riscrittura della parte orchestrale nel 2016) ha mutato il peso orchestrale e quindi il rapporto sonoro tra solista e orchestra, ma ha mantenuto, come costitutivo, questo dualismo, magnificato dalle “quasi cadenze” di cui è costellato, come pure dall’irruzione di minacciose pesantezze materiche. Il percorso è scandito, in questo caso, da indicazioni che sono agogiche ed espressi- ve insieme: “Inquieto”, “Teso”, “Minaccioso”, “Incalzando ma con leggerezza”, ecc.. Nel caso di Insieme dice l’autore, la prima sezione “ha come spina dorsale un rintocco sempre diverso” che conduce lungo “un percorso discendente a canone tra più voci da armonici acutissimi fino alle note basse del violoncello scordato”. Con altre parole si può indicare questo percorso come uno spegnimento di un’energia che progressivamente si consuma. Nel passaggio tra la seconda e la terza parte il cammino ha un’altra direzione: dall’oscurità alla luce (“luminoso”, in partitura). Nell’ultima sezione, dove si sussegue vorticosamente un vero e proprio “gioco delle coppie” (senza un vero riferimento all’altrimenti schematico gioco delle coppie, se- conda sezione del Concerto per orchestra di Béla Bartók; con una maggiore interio- re affinità con il fantasmagorico Jeux des cités rivales del Sacre di Stravinsky), la metafora più appropriata è quella della spirale, dove per dodici volte si ripercorre l’idea concertante della coppia, sempre diversa e protesa verso una “Coda” rapino- sa e affermativa.

Nel caso della Sinfonia da Camera (2006), il percorso complessivo è dichiarato con la massima evidenza dall’intitolazione dei quattro movimenti: 1. Lacerato, at- tonito. 2. Andante ostinato. 3. Con energia. 4. Presto anelando. Si tratta, come si vede, di un percorso iniziale verso l’abisso, e di un risollevarsi progressivo verso la vita e la luce. Ma l’attenzione deve appuntarsi sui mezzi sonori con cui si realizza questo persino semplice schema. Notevole è soprattutto il senso di vuoto da cui si prende le mosse, con una musica fatta di soffi, brividi, lontananze, fruscii, e l’emer- genza (davvero “lacerante”) dell’oboe. Notevole è, altrettanto, lo scatenarsi delle folate di vento del “Presto anelando” conclusivo, che indica un’uscita immateriale e puramente fantastica ai solidi costrutti dei primi tre tempi. È inevitabile un ri- cordo: il Presto finale della Sonata op. 35 di Chopin. Ma qui non manca un approdo risolutivo a quell’“anelando”: un’ “oasi dilatata”, come dice l’autore. Il quale segna con ciò la sua distanza dal nichilismo del maestro Franco Donatoni, pur tanto ammirato e amato (e ricordato in Insieme). In questo contesto assume un particolare significato (quello di una “fede nella possibilità di comunicare”) la presenza in tut- te queste partiture di un generoso effluvio di indicazioni “espressive”. È un vero peccato, (anche in Mozart, non solo in Debussy o in Messiaen) che l’ascoltatore non legga quanto sta scritto in partitura. Con le parole accanto alle note è come se il compositore si rivolgesse all’interprete-esecutore nella speranza di essere capito e rispettato nelle sue intenzioni; il che – come sappiamo – non sempre avviene. Per l’ascoltatore medio la conoscenza di queste annotazioni sarebbe una forte attribu- zione di senso alla sua esperienza di ascolto-nel-tempo …

In Solbiati l’inaccessibilità di queste indicazioni è quasi una mutilazione, ma – intendo – non sul piano delle immagini sonore, bensì soprattutto sul piano strut- turale. Tanto accurata e raffinata è la scrittura strumentale, quanto essenziale e scarna, come abbiamo visto, è la logica formale in cui essa si inquadra; una logica formale che viene a costituire una sorta di teatro immaginario di stampo espres- sionista e deformante, più che un ordine astratto di stampo neoclassico. Per essere più esatto: l’amore per le simmetrie e asimmetrie formali è talvolta persino espli- cito: come quando, come abbiamo visto, si allineano dodici episodi ognuno basato su una coppia di strumenti, tentando una rassegna completa delle possibilità. Ma poi, nel momento nella concreta traduzione sonora dell’idea astratta la lente defor- mante rende irriconoscibile il modello.

Così avviene per modelli melodici pregressi (vedi il già citato Puer natus in Beth- lehem), o per sequenze armoniche di ascendenza corale, o per sequenze ritmico-me- triche assimilabili ad archetipi quali la marcia, l’inno, il conflitto (il “danzando, quasi cadenza”, nel Concerto per chitarra e 15 strumenti, ad esempio). Non mi nascondo che questi procedimenti di affermazione/negazione di modelli sono stori- camente attribuibili e riconoscibili: c’è un’intima connessione tra le ‘grandi’ forme di questo Solbiati con i procedimenti tipici di Alban Berg nella Lyrische Suite del 1926, nel Kammerkonzert del 1925 e, mahlerianamente, nei Tre pezzi per orche- stra, op. 6 (1914/ 1929). Ciò che crea la distanza da Berg – cronologica e culturale, ovviamente – è la qualità del suono, in Solbiati distillato attraverso una ricerca estrema e, diremmo, primaria, di scritture strumentali volte ad esaurire le pos- sibilità stesse dello strumento e, insieme, dello strumentista. Si rivela in questa vertigine sperimentale un lato umano che è costitutivo del “far musica” di que- sto compositore, in dialogo aperto e continuo – quasi sempre rinsaldato da vincoli di amicizia – con i suoi esecutori. Lo è stato con il Divertimento Ensemble del suo maestro e amico Sandro Gorli; lo è, come documentato anche da una dedica di Sinfonia da camera per quindici strumentisti (2006), in questo CD, a Daniel Kawka e al suo Ensemble Orchestral Contemporain; lo è in Insieme per dieci stru- menti, con la fortunata convergenza di due Ensemble altrettanto familiari (Fon- tanaMIX e Accroche Note). Tutti i quattro brani dal CD sono infine destinati ad un vasto Ensemble, l’Ukho ensemble della città di Kiev, sedici esecutori diretti da Luigi Gaggero, già conosciuto come straordinario esecutore di cimbalom, oggi docente di questo strumento al Conservatorio di Strasburgo. Solbiati dimostra gra- titudine e ammirazione per questo direttore e per questi esecutori ucraini per la dedizione da loro dimostrata nel limare l’esecuzione oltre ogni limite attraverso il grande numero e la grande durata delle prove; e per il risultato finale raggiunto. Risultato difficilmente raggiungibile con un’orchestra – come l’autore ama ripetere – “sindacalizzata”.

Potremmo anche aggiungere che una scrittura così ricca di ricerche sul suono (tan- to più ardue nel momento in cui viene radicalmente riffiutato l’uso del mezzo elet- tronico, considerato poco meno che una “scorciatoia”) si accorda molto bene con la passione “didattica” di Solbiati, vera e propria conseguenza della propensione a trovare insieme (“insieme”!) le soluzioni di scrittura più appropriate e convenienti all’idea.


RICERCARE INSIEME
di Luigi Gaggero

Sembra passato un giorno da quando, esattamente vent’anni fa, Alessandro Solbia- ti venne a casa mia, a Genova, per scoprire lo cimbalom ungherese. Da quell’incon- tro nacquero alcune delle più importanti composizioni scritte per il mio strumento che, a loro volta, diedero inizio in Europa a una rivoluzionaria scoperta di inedite possibilità tecnico-espressive dello cimbalom. Da allora, la nostra collaborazione musicale -accompagnata da un affetto reciproco- ha seguito l’evoluzione dei nostri percorsi; Alessandro ha prima scritto per cimbalom come strumento solista, lo ha poi utilizzato in contesti di musica da camera, per infine scrivere uno splendido concerto per cimbalom e orchestra. Oggi, sono felice e onorato di poter proporre, in qualità di direttore, un’interpretazione di alcuni dei suoi più emozionanti lavori per orchestra da camera.

Come musicista, sono sempre rimasto affascinato da due aspetti della scrittura di Alessandro: innanzitutto, la sua musica è radicata in una profonda conoscenza dell’arte del passato. Questa conoscenza, che è poi una relazione amorosa, mi pare comprenda due elementi essenziali: da un lato, l’amore per il timbro. Non è un caso, infatti, che Solbiati sia stato spesso affascinato non soltanto dal colore dell’or- chestra tradizionale, ma anche da strumenti più rari, come il bayan, la chitarra, lo cimbalom, la fisarmonica o persino i thai-gong; e non è un caso che le innovazioni “grammaticali” che di volta in volta egli ha operato sulla scrittura per questi stru- menti siano state ispirate soprattutto da seducenti sonorità ancora inesplorate. Dall’altro lato (e qui mi pare di intravedere un aspetto importante dell’eredità di Franco Donatoni) le composizioni di Solbiati sono spesso gioielli di filigrana musi- cale, in cui scintilla la limpida complessità della loro struttura formale. Così, nella tensione fra questi due poli, quello di una legge formale autoimposta per fini cre- ativi e un infinito amore per il suono, la musica di Solbiati ci fa stupire di quanto lirico e sensuale possa essere l’esprit de géometrie!

Questa musica pone dunque diverse sfide all’interprete: mettere in risalto la tra- sparenza della forma; “respirare” le frasi ed essere ben coscienti delle relazioni di tensione-distensione armonica -esattamente come in un brano di musica classica; avere una grandissima cura della qualità del suono, per poter rendere giustizia alla fantasia timbrica del compositore. Il tutto, “nonostante” la complessità di scrittura tipica della musica contemporanea, che rende questi compiti ancora più difficili. Ma è proprio in queste sfide che si trova il punto di incontro fra compositore e in- terpreti che anima questo CD: con l’Ukho Ensemble Kyiv, infatti, mi sono proposto di non seguire un approccio strutturalista – oggi largamente diffuso nell’interpreta- zione del repertorio contemporaneo – basato su una concezione astratta del tempo (un “tempo calcolabile”). Piuttosto, cerco di render viva l’esperienza di un incontro empatico fra interprete, composizione e pubblico – abbracciati spiritualmente e fisi- camente dallo spazio creato dal fluire della musica. Le prove per la registrazione di questo CD sono state un appassionante ricercare di questo spazio, di questo “tempo vissuto” (e non calcolato) dove si crea la possibilità di essere sorpresi dalla musica, a dispetto di qualunque decisione interpretativa presa in anticipo.

L’ascoltatore giudicherà se e quanto siamo riusciti in questa impresa; noi saremmo già molto felici se fossimo riusciti a comunicargli quanta gioia abbiamo provato in questo ricercare – insieme.



Reference


COMUNICATO DELLA PRESENTAZIONE
BROADCAST 21 MAGGIO 2020 ore 17.30


Musiche di Alessandro Solbiati
Ukho Ensemble diretti da Luigi Gaggero,
chitarra solista Luigi Attademo


Inzia a Kiev la produzione dell’album di Alessandro Solbiati.
Le opere saranno tutte registrate nello studio della National Radio Ucraina dal tecnico Andrii Mokrytsky, sotto la supervisione di Giuseppe Scali.
L’Ukho Ensemble sarà l’interprete diretto da Luigi Gaggero. Tutta l’organizzazione ed il coordinamento sono curate da Oleksandra Andrusyk.

1. Neve

2. Conserto per Chitarra (solista Luigi Attademo)

3. Sinfonia

4. Insieme

Questo programma, composto dallo stesso organico e direttore, è già stato eseguito in concerto ieri, 24 Gennaio, presso l’auditorium della Radio Nazionale Ucraina con una considerevole partecipazione di giovani.